‘Oumuamua è una cometa?

In un precedente articolo avevamo parlato estesamente di ‘Oumuamua il primo oggetto interstellare scoperto il 18 ottobre 2017 dal telescopio Pan-STARRS 1. ‘Oumuamua fu identificato durante l’attraversamento del Sistema Solare nel periodo del flyby con la Terra. Inizialmente, ‘Oumuamua era stato ritenuto una cometa semplicemente per via dell’orbita iperbolica che percorre, simile a quella che mostrano le comete provenienti dalla nube di Oort. Tuttavia, l’elevato valore dell’eccentricità ha ben presto fatto scartare l’origine locale e favore dell’origine interstellare. Verso la fine di ottobre 2017, immagini CCD profonde riprese al Very Large Telescope dell’ESO, non mostrarono la presenza di chioma e coda, cioè i tratti tipici di una cometa, quindi ‘Oumuamua da cometa per motivi orbitali divenne asteroide per mancanza della chioma: il primo asteroide interstellare appunto. Ora lo stato fisico di ‘Oumuamua è di nuovo in discussione anche se, è bene sottolinearlo, rimane comunque un oggetto di origine interstellare (asteroide o cometa che sia).

Forze non gravitazionali su ‘Oumuamua

In una news pubblicata sul sito web di Nature il 27 giugno 2018 che trae origine da una lettera dal titolo “Non-gravitational acceleration in the trajectory of 1I/2017 U1 (‘Oumuamua)” Marco Micheli (ESA SSA-NEO Coordination Centre) e colleghi, analizzando le posizioni astrometriche (ossia le misure di posizione in cielo) fatte su ‘Oumuamua a partire dalla sua scoperta hanno trovato evidenza di forze non-gravitazionali che agiscono sul moto di ‘Oumuamua.

Il moto di qualsiasi corpo celeste nel Sistema Solare è governato prevalentemente dalla gravità del Sole e dalle perturbazioni gravitazionali esercitate dagli altri corpi del sistema. Tuttavia, le traiettorie delle comete sono influenzate anche da forze di tipo non-gravitazionali dovute alla emissione di gas e polveri dal nucleo. Considerato che queste forze non-gravitazionali sono da tre a quattro ordini di grandezza più deboli delle forze gravitazionali per la loro detection sono necessarie delle precise misure astrometriche della posizione dell’oggetto in cielo fatte su un lungo arco di tempo. Ed è proprio questo che è successo nel caso di ‘Oumuamua che è stato osservato dalla scoperta fino al 2 gennaio 2018. L’ultimo strumento a riprenderlo è stato il telescopio spaziale “Hubble”, quando era di magnitudine +27 e a 2,9 UA dal Sole (ossia in piena Fascia Principale degli asteroidi). Con questi dati, costituiti da 414 misure astrometriche scalari (ossia 207 misure di posizione), il team guidato da Micheli ha messo in evidenza (con un livello di significatività di ben 30 deviazioni standard), la presenza di accelerazioni non-gravitazionali nel moto di ‘Oumuamua: questo corpo si sta allontanando dal Sole più velocemente di quanto previsto in base alla sola forza di gravità. In sostanza la traiettoria osservata di ‘Oumuamua non può essere descritto semplicemente usando la gravità solare e le perturbazioni degli altri corpi del Sistema Solare. Questa accelerazione non-gravitazionale a cui è soggetto ‘Oumuamua è molto comune nelle comete dove si parla di “effetto razzo” perché gas e polveri emesse dai nuclei cometari li fanno “rinculare” nella direzione opposta a quella di emissione che, di solito, è rivolta verso il Sole. La forza non-gravitazionale per effetto razzo può essere descritta con una semplice legge del tipo 1/rk  con k = 0, 1, 2, 3… mentre r è la distanza eliocentrica del corpo. Nella analisi fatta da Micheli et al., l’accelerazione non-gravitazionale A è stata descritta con una legge del tipo:

A = (A1, A2, A3)·g(r)

Dove A1 è la componente del vettore accelerazione A nella direzione radiale secondo un sistema di riferimento eliocentrico, mentre le altre sono le componenti ortogonali. Nella funzione scalare g(r) è compresa la dipendenza dalla distanza eliocentrica. Facendo il best-fit con le osservazioni si trova che i valori più bassi del χ² si ottengono per la dipendenza 1/r² o 1/r (ossia k = 1 oppure 2), inoltre la componente radiale della accelerazione è il termine di gran lunga dominante sugli altri, con A1 = (4,92 ± 0,16) × 10-6 m/s². Si tratta di un valore elevato ma ancora compatibile con quello che si trova per le accelerazioni non-gravitazionali delle comete appartenenti al Sistema Solare che però hanno valori tipici dell’ordine di circa 10-7 m/s². Notare che 4,92/0,16 = 30,75 da qui il livello di significatività di 30 deviazioni standard. Dai calcoli del modello cometario applicato ad ‘Oumuamua risulta che questo corpo celeste emetteva nello spazio circa 1,5 kg/s di acqua a 1,4 UA dal Sole con un ulteriore contributo di 2,1 kg/s di CO (ossido di carbonio). L’emissione di polvere è stimata in soli 0,4 kg/s che avrebbe comunque dovuto essere visibile nelle immagini a patto che i granelli emessi fossero abbastanza piccoli.

Oumuamua_outgasing_20180627_ESO
Figura 1 – Una rappresentazione artistica di ‘Oumuamua mentre perde gas nello spazio interplanetario (ESA/Hubble, NASA, ESO, M. Kornmesser).

Altri effetti che potrebbero dare origine a forze non-gravitazionali sono stati presi in considerazione ed esclusi, fra cui: la pressione della radiazione solare, forze di attrito con il mezzo interplanetario, interazione con il vento solare di un corpo fortemente magnetizzato ed effetti geometrici dovuti al fatto che ‘Oumuamua potrebbe essere un sistema binario.

Predicted position of `Oumuamua versus observed position
Figura 2 – Questo diagramma mostra l’orbita di ‘Oumuamua mentre passa attraverso il Sistema Solare. Nel riquadro piccolo a destra c’è un confronto fra la traiettoria che dovrebbe avere in base alle sole forze gravitazionali e quella osservata in base alla somma delle forze gravitazionali più quelle non-gravitazionali provocate dall’outgassing (ESA).

Conclusioni

Come abbiamo visto dai dati che escono dal modello cometario adottato per spiegare le accelerazioni non-gravitazionali, l’emissione di gas dalla superficie di ‘Oumuamua è molto debole per questo motivo, anche usando i telescopi dell’ESO, non era stato possibile mettere in evidenza la presenza di una chioma. Che ‘Oumuamua emetta gas nello spazio non è in contrasto con quello che si sa sulla natura di questo corpo. L’analisi dello spettro di ‘Oumuamua ha mostrato un andamento della riflettività simile a quella del corpi trans-nettuniani del Sistema Solare, ossia i corpi della Fascia di Kuiper che si trovano oltre l’orbita di Nettuno. Questi corpi sono ricchi di ghiaccio d’acqua (basta pensare a Plutone) ed è possibile che lo stesso valga per ‘Oumuamua. Peraltro, secondo il Modello Nizza che si applica all’evoluzione del Sistema Solare, 5 miliardi di anni fa gli asteroidi ghiacciati del Sistema Solare esterno sono andati soggetti a tutta una serie di perturbazioni gravitazionali con i pianeti giganti del nostro Sistema che li ha, in parte, portati vicino al Sole, impoveriti di materiale volatile e poi espulsi nello spazio. Questo meccanismo riesce a spiegare la presenza degli asteroidi Troiani di Giove. Una storia simile potrebbe valere per ‘Oumuamua che, prima di essere espulso nello spazio interstellare, deve avere passato alcune decine di migliaia di anni in prossimità della sua stella impoverendosi di elementi volatili. Come ricordano gli stessi autori alla fine della “Lettera” a Nature, le conclusioni a cui sono arrivati analizzando le posizioni in cielo di ‘Oumuamua non sono definitive: per essere certi della natura cometaria di questo oggetto bisognerebbe mandare una sonda in grado di esplorarlo direttamente, così come si fa per asteroidi e comete del nostro Sistema Solare. Il problema è che ‘Oumuamua è un oggetto interstellare, animato da una elevata velocità eliocentrica, quindi sarebbe difficile colmare il ΔV per poterlo raggiungere, a meno di ricorrere a complicate tecniche di “gravity assist” con il Sole e i pianeti.

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