Il mistero delle meteoriti mancanti di Tunguska

Gli asteroidi near-Earth (NEA), sono una popolazione di corpi minori che orbitano attorno al Sole nella stessa regione di spazio in cui si muove la nostra Terra. Al momento sono noti circa 32.000 NEA, con dimensioni che vanno da pochi metri fino a qualche decina di km. Per gli asteroidi vale la regola che più sono piccoli e più sono numerosi: il loro numero è inversamente proporzionale a una potenza del diametro e per questo motivo la probabilità di collisione con la Terra aumenta sensibilmente al diminuire delle dimensioni. In media, una collisione con piccoli asteroidi di 1-2 metri di diametro avviene ogni due settimane, senza conseguenze perché si disintegrano in atmosfera durante la caduta e al suolo arrivano solo piccoli frammenti (che diventano meteoriti). Collisioni con oggetti di circa 50 metri di diametro sono molto più rare e avvengono in media ogni 600 anni, come è accaduto nel 1908.

Il 30 giugno 1908 alle 0h 14m 28s UT nella sperduta regione siberiana dove scorre il fiume Tunguska, un corpo di origine extraterrestre noto anche come TCB (Tunguska Cosmic Body), entrò in atmosfera ed esplose nella troposfera devastando 2150 km2 di taiga siberiana. L’epicentro della zona distrutta dall’onda d’urto e dall’onda termica generata nell’airburst si trova alle coordinate Lat. 60,886° ± 0,02° N, Long. 101,894° ± 0,02° E. Si è trattato del maggiore evento da impatto avvenuto in tempi storici e nonostante sia trascorso più di un secolo, gli studi per determinare la natura del TCB continuano.

Solo nel febbraio 1927, ossia 19 anni dopo l’evento, il geologo russo Leonid Alekseevič Kulik (1883-1942), curatore della collezione di meteoriti del museo di San Pietroburgo, volle verificare se le leggende siberiane sulla grande catastrofe di cui aveva avuto sentore leggendo vecchi articoli di giornale avevano un fondamento di verità e organizzò una prima spedizione verso la Siberia centrale. Kulik pensava che l’evento fosse dovuto alla caduta di un corpo celeste: sul luogo dell’impatto si aspettava di trovare un cratere da impatto e di recuperare diverse meteoriti che avrebbero arricchito la collezione del museo. Il geologo si sorprese molto quando non riuscì a trovare nessun cratere nell’epicentro e nessuna meteorite. Kulik non poteva saperlo, ma ora si è capito che il cratere non c’è perché, per gli asteroidi rocciosi nel range 10-100 metri di diametro, si verifica generalmente una frammentazione in atmosfera (airburst) prima di raggiungere il suolo e i pezzi che arrivano a terra sono troppo piccoli e lenti per scavare crateri. Solo nel caso di un asteroide metallico nello stesso range di dimensioni la coesione del corpo può essere sufficiente per arrivare al suolo intatto e scavare un cratere.

L’assenza del cratere diede luogo a tutta una serie di teorie esotiche sull’origine dell’evento di Tunguska. Ad esempio, nel 1946 lo scrittore di fantascienza siberiano Aleksandr Kazantsev ipotizzò che l’oggetto esploso nel 1908 fosse un’astronave aliena in fase d’atterraggio (ma non è mai stato trovato il più piccolo frammento che potesse avvalorare questa ipotesi). Nel 1973 l’ipotesi dell’esplosione di un disco volante venne ripresa da John Baxter e Thomas Atkins nel libro “The fire came by”. Nel 1965 Clyde Cowan e col-leghi, in un paper pubblicato su Nature, proposero l’ipotesi dell’impatto con un corpo fatto di antimateria. Nel 1973 Jackson & Ryan, sempre in un paper su Nature, proposero invece l’ipotesi dell’impatto di un micro buco nero di massa sub stellare proveniente dalle profondità della galassia. Tuttavia, se fosse vero, il micro buco nero avrebbe dovuto attraversare tutta la Terra ed emergere agli antipodi provocando una seconda catastrofe.

In realtà non c’è bisogno di ipotesi così esotiche per spiegare la catastrofe di Tunguska: i dati raccolti ci aiutano a dare un’interpretazione razionale al fenomeno. Di questa catastrofe esistono registrazioni sismiche e barometriche, che hanno permesso di stabilire ragionevolmente bene l’ora dell’evento. Inoltre ci sono i dati sulla devastazione subita dagli alberi della taiga: le direzioni di caduta e il conteggio di quelli carbonizzati, ma rimasti in piedi, in prossimità del centro dell’area devastata (i così detti “pali del telegrafo”), raccolti in un secolo di spedizioni sul campo. La distribuzione degli alberi caduti nel luogo dell’evento indica chiaramente che deve essere avvenuta un’esplosione in atmosfera a una certa quota. L’intervallo più ampiamente accettato per l’energia sviluppata nell’esplosione, sulla base dei barogrammi, delle registrazioni sismiche e dei danni subiti dalla foresta è compreso tra 10 e 40 Mt con un valore più probabile di circa 15 Mt, circa 1000 volte quella sviluppata dalla bomba atomica di Hiroshima (appena 16 kt). Infine, sempre dalla devastazione della taiga, è stata ottenuta un’altezza per l’esplosione di 8,5 ± 1 km. Le coordinate geografiche al suolo dell’esplosione nell’atmosfera (il cosiddetto “epicentro”) sono state stabilite dalla distribuzione azimutale degli alberi caduti, mentre dalla simmetria dell’area della devastazione (che ha la forma di una “farfalla”) e dai dati dei testimoni oculari è stato stabilito l’intervallo per l’azimut e l’inclinazione della traiettoria di arrivo seguita durante la caduta verso il suolo del TCB. L’intervallo di incertezza dell’azimut di arrivo è relativamente contenuto 110° ± 10°: grosso modo il corpo è arrivato percorrendo una traiettoria da sud-est verso nord-ovest. Molto più complesso invece stabilire l’inclinazione della traiettoria. Dall’analisi delle testimonianze visuali raccolte per lo più circa 50 anni dopo l’evento si trovano traiettorie a bassa inclinazione rispetto alla superficie, nel range 5° – 17°, mentre dalle simulazioni sull’abbattimento degli alberi dovuti all’arrivo dell’onda d’urto le inclinazioni più probabili sono nel range 30°- 45°. Questo secondo range di valori è da preferire al primo perché si basa su evidenze più oggettive delle testimonianze visuali.

Ci sono due scuole di pensiero riguardo la natura del TCB: la scuola russa (ex URSS), che privilegia l’ipotesi della natura cometaria e quella occidentale che privilegia invece la natura asteroidale. Essendo le comete oggetti a bassa densità e coesione interna (strength), un TCB cometario avrebbe il vantaggio di spiegare l’assenza di meteoriti al suolo a causa della disintegrazione completa del corpo, tuttavia una cometa di poche decine di metri di diametro non sarebbe mai arrivata in troposfera prima di esplodere: si sarebbe disintegrata fra i 15 e i 20 km di quota, troppo in alto rispetto alla quota stabilita per l’airburst.
I parametri chiave per cercare di risalire alla natura del TCB sono la traiettoria seguita in atmosfera e la velocità di caduta, perché è da questi numeri che si può ottenere l’orbita eliocentrica, essenziale per capirne l’origine. Generalmente gli asteroidi hanno orbite a bassa eccentricità e inclinazione orbitale, mentre le comete hanno orbite molto eccentriche con inclinazioni sull’eclittica che possono arrivare ad essere molto elevate. Purtroppo sulla velocità iniziale di caduta in atmosfera non ci sono dati diretti, possiamo solo dire che doveva essere superiore a 11,2 km/s la velocità di fuga della Terra e inferiore a 72 km/s. In ogni caso, se si parte dai dati disponibili sulla geometria della traiettoria (considerando valori sia a bassa, sia ad alta inclinazione), si ipotizza la velocità atmosferica e si ricostruiscono tutte le possibili orbite eliocentriche che poteva percorrere il TCB si trova che nel 77% dei casi le orbite sono di natura asteroidale, mentre nel rimanente 23% dei casi si tratta di orbite cometarie. Questi sono i risultati dei calcoli fatti da Paolo Farinella e colleghi nel 2001 che fecero pendere decisamente la bilancia verso l’origine asteroidale. Inoltre, nell’ipotesi che il TCB fosse un corpo appartenente al Sistema Solare, in ogni caso non poteva avere una velocità atmosferica superiore a 35 – 40 km/s altrimenti sarebbe stato un oggetto interstellare. Come si vede la natura asteroidale del TCB è quella statisticamente più probabile e possiamo ritenere che la velocità iniziale in atmosfera fosse compresa fra gli 11 e i 20 km/s, il range tipico delle velocità asteroidali. Considerando che l’energia emessa in atmosfera è stata di circa 15 Mt e che questa proveniva dall’energia cinetica dell’asteroide, a un range di velocità 11 – 20 km/s corrisponde un corpo con un diametro di 80 – 50 metri (assumendo una densità media di circa 3300 kg/m3).

Il primo a considerare il TCB come un corpo di natura asteroidale ad alta coesione interna fu Zdenek Sekanina in un articolo pubblicato sull’Astronomical Journal nel 1983 dal titolo “The Tunguska event: no cometary signature in evidence”. Sekanina, dopo avere scartato l’ipotesi di un TCB cometario perché troppo fragile per raggiungere la troposfera considera un asteroide roccioso di 90-190 metri di diametro con una velocità di caduta in atmosfera di circa 10 km/s come causa dell’evento di Tunguska. Nel 1993 Christopher Chyba e colleghi ripresero l’idea di un TCB asteroidale dotato di una coesione interna e ne svilupparono gli aspetti matematici partendo dalle stesse equazioni che stanno alla base della caduta in atmosfera dei piccoli meteoroidi, ma permettendo l’aumento del diametro efficace dell’asteroide per effetto dello schiacciamento dovuto all’onda d’urto: nacque così il “pancake model” per la descrizione della caduta di piccoli asteroidi nell’atmosfera.

In questo modello il TCB perde la sua energia cinetica sia per la diminuzione di velocità causata dal frenamento atmosferico, sia per l’ablazione dovuta al riscaldamento della superficie dell’asteroide a causa dei gas caldi e compressi che formano l’onda d’urto frontale. Per via dell’ablazione superficiale l’asteroide, mentre cade sempre più in profondità nell’atmosfera, perde massa quindi energia cinetica. In seguito alla frammentazione, che si verifica quando la pressione esercitata dall’atmosfera sulla parte avanzante dell’asteroide supera la strength del corpo stesso, la massa si deforma e si sparge su un’area maggiore tendendo a diventare una “frittella” (da qui la designazione di “pancake” per il modello), cresce la quantità di atmosfera intercettata e quindi aumenta il frenamento e l’ablazione: il corpo perde energia cinetica molto rapidamente ossia in modo esplosivo e si ha l’airburst. Nel caso di Tunguska la durata della fase di pancake è dell’ordine di 1 s. Secondo le stime del modello di Chyba, per un asteroide roccioso con una traiettoria inclinata di 45°, velocità atmosferica in ingresso di 15 km/s, strength di 10 MPa (valore tipico di un asteroide roccioso) e un’energia di 15 Mt l’airburst si verifica attorno ai 9 km di quota, in buon accordo con quanto determinato per Tunguska. Sempre nel 1993, un modello simile a quello di Chyba fu sviluppato da Jack Hills e Patrick Goda per descrivere la frammentazione di piccoli asteroidi in atmosfera. Furono presi in considerazione corpi metallici (strength assunta di 200 MPa), rocciosi (con strength di 10-50 MPa) e carbonacei (strength di 1 MPa). Anche in questo modello la strength è mantenuta costante indipendentemente dalle dimensioni dei frammenti, ma viene fatta anche una stima della massa tipica delle meteoriti ritrovabili al suolo. Per un TCB roccioso di 80 m di diametro in caduta a 15 km/s con una traiettoria inclinata di 45° la previsione del modello di Hills e Goda è di avere meteoriti con una massa massima di circa 1 kg. Un valore molto basso che discende direttamente dal fatto che i frammenti hanno la stessa strength del corpo progenitore invece di aumentare a ogni frammentazione in accordo con la statistica di Weibull. In pratica, quando il corpo inizia a frammentarsi, il processo non si ferma più fino a quando il valore della pressione esercitata dall’atmosfera sul corpo non scende al di sotto della strength iniziale assunta. All’epoca in cui venne sviluppato il modello questa previsione era coerente con il fatto che sul luogo della catastrofe di Tunguska non erano mai state recuperate meteoriti e la conclusione era che non era necessario un corpo di origine cometaria per spiegare questo fatto.

La cosa interessante è che se si applica il modello di Hills & Goda alla caduta di Chelyabinsk avvenuta il 15 febbraio 2013, che ha avuto come protagonista un asteroide di circa 20 metri di diametro entrato in atmosfera a una velocità di 19 km/s, si trova per le meteoriti una massa dell’ordine di 0,001 kg. Si tratta di un valore molto basso in contrasto con quanto osservato: le meteoriti effettivamente recuperate nell’evento di Chelyabinsk hanno dimensioni ben superiori se si pensa ai 570 kg del frammento F1 avente 0,7 m di diametro recuperato nel lago Chebarkul, circa 70 km oltre il punto di frammentazione dell’asteroide. Come si vede la previsione per Chelyabinsk è errata, quindi anche la ricostruzione dell’evento Tunguska è parecchio a rischio. Il fatto è che gli asteroidi non sono corpi a strength costante, ma mano a mano che si frammentano la strength dei vari pezzi statisticamente aumenta al diminuire delle dimensioni, come ci si aspetta per corpi soggetti alla statistica di Weibull. La caduta di Carancas, avvenuta in Perù il 15 settembre 2007, è emblematica: in questo caso non ci fu frammentazione e il meteoroide pietroso arrivò intatto al suolo, generando un cratere di 13 m di diametro nei pressi del lago Titicaca. La velocità iniziale stimata per questo corpo monolitico, con dimensioni di 0,9–1,7 m, è inferiore a 23 km/s, e la strength varia da 20 a 40 MPa, valori molto superiori a quelli tipici di 0,4–12 MPa, validi per piccoli meteoroidi. In poche parole della strength degli asteroidi e della loro effettiva struttura interna sappiamo molto poco e nel caso di Tunguska bisogna tenersi aperti a tutte le possibilità fisicamente plausibili.

Abbiamo detto che, in seguito all’evento di Tunguska, Kulik si aspettava di raccogliere delle meteoriti nella zona dell’epicentro e scavò diverse buche nella palude con la speranza di trovarne: purtroppo tutti i frammenti rocciosi recuperati si rivelarono essere delle pietre di origine terrestre. Il miglior candidato meteorite è stato, fino ad ora, il cosiddetto “Sasso di John”, un masso quarzitico con dimensioni di 2,0 x 1,5 x 1,0 m costituito per il 98,5% da SiO2 trovato da John Anfinogenov il 19 luglio 1972 vicino all’epicentro, sul monte Stoykovich sepolto nel permafrost, con una massa stimata di circa 10.000 kg. Purtroppo non sono note altre meteoriti fatte di biossido di silicio, l’unico corpo da cui potrebbero originarsi è Marte, quindi molto probabilmente il Sasso di John è di origine terrestre. Tuttavia, i testimoni oculari evenki dell’evento di Tunguska raccontano una storia diversa: avrebbero osservato una pietra apparsa “dal nulla” nella foresta distrutta e diversi evenki hanno riferito della presenza di solchi nell’epicentro con pietre all’interno. Che fine hanno fatto?

Il modello a pancake di Tunguska con energia cinetica iniziale 15 Mt, velocità 15 km/s, densità media 3290 kg∕m3, diametro 69 m, inclinazione 35° e strength del TCB di 25 MPa. Durata della fase pancake, dalla frammentazione all’airburst, 0,9 s. Airburst a 8,3 km e pressione dinamica massima di 40,4 MPa. Un frammento di 1,4 m di diametro con una strength media di 100 MPa tocca il suolo con un diametro di circa 1,2 m a una velocità di circa 0,7 km/s (Crediti: A. Carbognani/Icarus 408, 2024).

Se la dinamica dell’evento di Tunguska non è stata troppo diversa da quella di Chelyabinsk, e per il principio copernicano non abbiamo motivi di pensare che non sia così, è ragionevole pensare che un certo numero di grossi frammenti dell’ordine del metro di diametro (abbastanza grandi da sopravvivere all’airburst a bassa quota), e con una strength tale da impedire successive frammentazioni, siano sopravvissuti all’esplosione e abbiano proseguito la loro corsa verso il suolo senza cambiare in modo apprezzabile la propria direzione. Un’ipotesi plausibile, ma che valori di strength dovevano avere i frammenti per sopravvivere all’airburst? Si tratta di valori ragionevoli, oppure sono impossibili dal punto di vista fisico? La risposta a questa domanda è l’oggetto di un recente paper pubblicato sulla rivista scientifica Icarus, uno dei punti di riferimento per le ricerche nell’ambito del Sistema Solare: Carbognani et al., “Computation of a possible Tunguska’s strewn field”, Icarus, 408 (2024).

I risultati dei calcoli fatti con un pancake model che tiene conto della statistica di Weibull per un TCB monolitico con energia cinetica di 15 Mt, velocità di ingresso atmosferica compresa tra 11 e 20 km/s e una strength iniziale media nel range 3–70 MPa (così che l’airburst si verifichi a una quota di 8–9 km), ci dicono che un frammento macroscopico con una strength media compresa tra 14–85 MPa e una massa iniziale di 5000 kg (diametro di circa 1,4 m), sarebbe riuscito a sopravvivere all’airburst e a raggiungere il suolo. La strength massima del frammento è circa 2 volte la strength massima stimata per la caduta di Carancas, quindi un valore ancora fisicamente possibile. In questo scenario, la velocità di arrivo del frammento al suolo è compresa tra 0,8 e 0,5 km/s, sufficientemente elevata da penetrare nel permafrost siberiano scavando un tunnel con un volume superiore di qualche centinaio di volte rispetto a quello del meteoroide e restare ivi sepolto.

Lo strewn field di Tunguska calcolato per frammenti di diversa dimensione, ma dell’ordine del metro di diametro, per una velocità iniziale di 15 km/s e un’inclinazione della traiettoria di 35°. La curva interna racchiude un’area con probabilità di caduta del 68% (1 sigma), quella intermedia del 95,4% (2 sigma), mentre quella più esterna rappresenta la zona con probabilità di caduta del 99,7% (3 sigma). Il lago Cheko si trova a circa 3,5 km dal bordo esterno dello strewn field (Crediti: A. Carbognani/Icarus 408, 2024).

Dove potrebbero essere caduti questi eventuali frammenti? Se si utilizzano le equazioni che descrivono il dark flight (volo buio) dei meteoroidi, tenendo conto della quota dell’esplosione avvenuta a circa 8,5 ± 1 km, della velocità più probabile per i frammenti di 10 ± 3 km/s, dell’inclinazione più probabile di 35° ± 5° e della resistenza dell’aria, allora la risposta è a circa 11 km a nord-ovest dell’epicentro, attorno alle coordinate 60,921° ± 0,02° N e 101,697° ± 0,03°E, in una zona che, grossomodo, copre un’area di circa 140 km2: è qui che si dovrebbero cercare i possibili grossi frammenti del TCB. Chiaramente, dopo più di 100 anni dall’evento non sarebbe facile trovare qualcosa considerato che sarebbe necessario scavare nel permafrost siberiano, ma la “caccia” alle meteoriti di Tunguska dovrebbe riprendere: se si potesse recuperare un frammento macroscopico del TCB le informazioni che si potrebbero ottenere chiarirebbero sia la natura del corpo che la sua origine oltre ogni ragionevole dubbio. Sarebbe la soluzione di un “mistero” che dura da più di un secolo e che è tempo di risolvere.

Per maggiori dettagli sulla catastrofe di Tunguska, la caduta di Chelyabinsk e in generale gli asteroidi near-Earth e il rischio di collisione con la Terra è consigliata la lettura del libro dell’autore: “L’asteroide di Sodoma e Gomorra” (aggiornamento 2023), In riga edizioni.

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